News

gambogi

gambogi

Interventi sui temi 'I nuovi reati dichiarativi e il rapporto con il riciclaggio e i reati fallimentari' (primo incontro 24 maggio 2022); 'False fatturazioni: simulazione e inesistenza giuridica - I reati omissivi' (secondo incontro 31 maggio 2022); 'La difesa del contribuente nel processo penale tributario' (quinto incontro 28 giugno 2022), nell'ambito del webinar live "Diritto penale tributario - Criticità applicative e orientamenti giurisprudenziali prevalenti", organizzato da Giuffrè Francis Lefebvre.

La questione di diritto sottoposta all' esame delle Sezioni Unite:
"Se la continuazione tra i reati sia di per sè ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni".

Il Giudice nomofilattico, chiamato a risolvere il contrasto giurisprudenziale che vedeva due opposti orientamenti, ha fissato un importante principio:

"La pluralità dei reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sè ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis c.p., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale.

In presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione ella punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta che, salve le condizioni ostative previste dall'art. 131-bis c.p., tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di leggi violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti"


La sentenza per esteso è consultabile in allegato
Gli imputati erano stati condannati in primo e secondo grado per il reato di violenza privata previsto dall'art. 610 c.p. per essersi posizionati, nell'ambito di una manifestazione di protesta, davanti al varco di accesso al campo base che ospitava i lavoratori impegnati nella realizzazione del Terzo Valico, e di aver costretto i lavoratori, chiudendo il cancello di ingresso, a tollerare la manifestazione ed a ritardare le proprie occupazioni.

Nel confermare la decisione, la Corte evidenziava:

- quanto al reato di cui all'art. 610 c.p., non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un comportamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto: nel caso in esame tale comportamento era ravvisabile nella "forza intimidatrice del gruppo". Ciò escludeva anche la configurabilità dell'esercizio del diritto costituzionalmente garantito dall' 17 della Costituzione  - quello di riunirsi pacificamente e senza armi-, come invece dedotto dalla difesa;

- quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., la Corte ha ricordato la precedente giurispudenza secondo la quale i motivi di particolare valore morale o sociale sono solo quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva, ed intorno ai quali vi sia un consenso generale. Non rileva invece l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile; secondo la difesa infatti, il senso di protesta degli imputati sarebbe stato sostentuo da un generale e diffuso consenso di una parte rilevante della collettività. La Corte di Appello, sul punto, aveva argomentato come invece la protesta in discorso costituisse piuttosto una "ostinata presa di posizione" contro la realizzazione di un'opera pubblica decisa a vantaggio della collettività;

- quanto, infine, all'applicabilità della causa di esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p., pur invocata dalla difesa sotto il profilo della durata limitata della protesta e dei conseguenti minimi disagi causati agli operai, la Corte ha rigettato il gravame trattandosi di elementi di fatto non sindacabili in Cassazione.




La sentenza per esteso è consultabile in allegato.
La singolare vicenda riguarda un legale che consegna ai propri assistiti copia di sentenze e verbali di pignoramento da lui formati recanti l'intestazione, l'emblema della Repubblica, la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, il nome del Giudice (effettivamente in servizio) e la sua sottoscrizione vergata a penna.

La Corte di Cassazione ha confermato la misura cautelare del divieto temporaneo di esecitare la professione forense emessa dal GIP e confermata dal Tribunale, sul presupposto che gli atti giudiziari in esame fossero dotati di requisiti formali tali da indurre terzi in buona fede, privi di nozioni giuridiche, a credere che fossero conformi agli originali.
Argomentava al contrario la difesa, che la mancanza di alcuni elementi -quali il timbro di deposito in cancelleria, la firma del cancelliere ed il numero di ruolo- rendesse i medesimi inidonei a ledere la fede pubblica.

La Corte ha osservato che le Sezioni Unite con una recente sentenza (n. 35814 del 28/03/2019), hanno affermato che la formazione di copia di un atto inesistente non integra il reato di falso materiale, salvo che tale copia assuma l'apparenza di un atto originale.

Nel caso di specie, gli elementi mancanti sono quelli riconducibili al tecnicismo proprio dei provvedimenti giudiziari, come tali riconoscibili solo dagli addetti al settore; ciò che rileva, ai fini della configurabilità del reato punito ai sensi degli artt. 476, 482 c.p., è l'impatto che quegli atti possano avere nei confronti della generalità dei soggetti privi di specifiche competenze, ossia della loro idoneità da assumere l'apparenza di originali.


La sentenza per esteso è consultabile in allegato.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 28 aprile 2022 n. 16272, ha ribadito il principio che la persona offesa del reato di atti persecutori (c.d. stalking) previsto dall'art. 612-bis c.p. dev'essere ammessa al gratuito patrocinio a prescindere dalle condizioni reddittuali e dagli altri requisiti previsti dall'art. 76 d.p.r. 115/2002, ad eccezione dell'indicazione del procedimento cui si riferisce la richiesta e delle generalità e codici fiscali dei componenti il proprio nucleo familiare.

I Giudici di primo e secondo grado, infatti, avevano rigettato l'istanza poichè priva di documentazione attestante le condizioni reddituali (e della dichiarazione che il difensore fosse iscritto nell'elenco degli avvocati che assistono soggetti ammessi al gratuito patrocinio).
Rammenta la Corte che l'art. 76 comma 4-ter del d.p.r. sopra menzionato, introduce una deroga che non consente alcuna discrezionalità al Giudice, nonostante la sua formulazione letterale.
L'argomento era stato oggetto di un intervento della Corte Costituzionale (sent.1/2021) che ha stabilito che tale deroga non viola in principio di uguaglianza, poichè la sua ratio si inserisce nell'ambito della tutela delle vittime vulnerabili che il legisltatore ha intrapreso a partire dal d.l. 14/08/2013 n. 93 (contrasto della violenza di genere); come tale, non trattandosi di scelta manifestamente irragionevole o arbitraria, non può considerarsi in contrasto con il dettato costituzionale.

Il percorso legislativo in questione, com'è noto, affonda le sue radici nella Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Istanbul l'11/06/2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con la L. 27/06/2013), ed è continuato nel tempo con ulteriori provvedimenti (basti ricordare la legge del 2019 nota come "Codice Rosso").

Lunedì, 09 Maggio 2022 00:00

L'Emergenza sanitaria e quella legislativa

Pubblichiamo la relazione dell'Avv. Gianluca Gambogi all'esito della partecipazione al Tavolo di Lavoro del 25 marzo 2022 promosso dall' Associazione Spazio Etico dal titolo "I perchè che non trovano risposta"

Il concetto di "partecipazione" richiamato nel delitto di cui all'art. 609-octies c.p. che punisce la violenza sessuale di gruppo, non può intendersi limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte di ciascun singolo imputato, di un'attività tipica di violenza sessuale dovendosi invece estendersi la punibilità a qualsiasi condotta partecipativa  tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spetttaore, sia pure compiacente, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione con sentenza n. 15659 del 22 aprile 2022 ha disatteso la tesi difensiva volta a far dichiarare l'estraneità ai fatti di un imputato che era subito uscito dalla stanza ove veniva consumata la violenza, rientrandovi solo quando era stato chiamato da un coimputato all'unico fine di scattare delle foto, che peraltro non ritraevano atti sessuali.
La Corte ha rilevato infatti che l'imputato, comunque rimasto nell'alloggio, realizzava videoriprese della donna che scivolava dal materasso dopo aver subito plurimi rapporti sessuali, fotografandone anche i genitali, in tal modo rafforzando il proposito criminoso del gruppo, tanto che subito dopo quella foto la donna subiva un ulteriore rapporto sessuale.


Un'interessante sentenza di merito ha ritenuto indennizzabile la morte causata da contrazione dell' infezione da Sars-CoV -2.

Il Tribunale di Torino, muovendo dal presupposto che le "Condizioni Generali di Assicurazione Infortuni" definivano "infortunio l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea" ha concluso, sulla scorta di una consulenza tecnica d'ufficio, che la morte "da insufficienza respiratoria da infezione SARS-COV-2" rientri a pieno titolo negli eventi indennizzabili.

La sua insorgenza è infatti involontaria (fortuita); violenta, poichè il contatto non è dilatato nel tempo e "determina uno stravolgimento violento delle regole naturali della vita di un organismo che si trovi in situazione normale". E' infine dovuta ad una causa esterna proprio perchè "il virus è un organismo estraneo al corpo umano e che nello stesso viene ad inserirsi proprio quale elemento proveniente dall'esterno".

Infine, la polizza non conteneva clausole di esclusione delle infezioni virali, nè risulta che l'assicurato versasse in preesistenti condizioni in grado di facilitarne l'insorgenza.

In assenza di specifica esclusione contrattuale, dunque, l'infezione da SARS-CoV-2 soddisfa la definizione di infortunio contemplata nelle "Condizioni Generali" del contratto di assicurazione in questione.


La sentenza per esteso è consultabile in allegato
Mercoledì, 20 Aprile 2022 00:00

PROCESSO PENALE

Intervento sul tema ‘Insidie e tecniche dell’esame e controesame’, nell’ambito del webinar live “Master processo penale”, organizzato da Giuffrè Francis Lefebvre, 19 aprile 2022, ore 14,00-18,00.

Con la sentenza del 28/03/2022 la Corte di Cassazione è tornata sull'argomento della responsabilità dei consiglieri di una S.p.A. in un caso di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs 74/2000), distinguendo i due casi:

1. se non siano state attribuite deleghe, tutto il C.d.A. risponde di ogni atto/omissione;

2. se siano state attribuite deleghe ad uno o più amministratori, gli illeciti compiuti investono solo la responsbilità dei consiglieri delegati, salva in ogni caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi (ossia privi di delega) per l'eventuale violazione dolosa o colposa, in presenza di segnali d'allarme, del dovere di informazione in ordine all'andamento della gestione sociale ed alle operazioni più significative e del dovere di attivarsi, per quanto in loro potere, per impedire il compimento dell'atto pregiudizievole o ridurne le conseguenze dannose.
 
La sentenza ribadisce altresì la legittimità del sequestro preventivo diretto e per equivalente funzionale alla confisca dell'unico immobile di proprietà dell'imputato costituente la sua residenza. Il limite dell'impignorabilità di quest'ultimo, introdotto dall'art. 52 lett. g) del d.l. 69/2013, opera infatti solo verso l'Erario per debiti tributari; l'oggetto della confisca invece è il profitto del reato, non il debito verso il fisco (comprendente anche sanzioni ed interessi).

In allegato la sentenza per esteso


Approfondisci

Sede principale

 Via E. Poggi, 1 50129 Firenze (FI)

 (Tel.) 055 491973

 (Fax) 055 490727

 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 9.00 - 13.00; 14.30 - 18.30

Console Debug Joomla!

Sessione

Informazioni profilo

Utilizzo memoria

Query Database