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Gli imputati erano stati condannati in primo e secondo grado per il reato di violenza privata previsto dall'art. 610 c.p. per essersi posizionati, nell'ambito di una manifestazione di protesta, davanti al varco di accesso al campo base che ospitava i lavoratori impegnati nella realizzazione del Terzo Valico, e di aver costretto i lavoratori, chiudendo il cancello di ingresso, a tollerare la manifestazione ed a ritardare le proprie occupazioni.

Nel confermare la decisione, la Corte evidenziava:

- quanto al reato di cui all'art. 610 c.p., non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un comportamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto: nel caso in esame tale comportamento era ravvisabile nella "forza intimidatrice del gruppo". Ciò escludeva anche la configurabilità dell'esercizio del diritto costituzionalmente garantito dall' 17 della Costituzione  - quello di riunirsi pacificamente e senza armi-, come invece dedotto dalla difesa;

- quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., la Corte ha ricordato la precedente giurispudenza secondo la quale i motivi di particolare valore morale o sociale sono solo quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva, ed intorno ai quali vi sia un consenso generale. Non rileva invece l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile; secondo la difesa infatti, il senso di protesta degli imputati sarebbe stato sostentuo da un generale e diffuso consenso di una parte rilevante della collettività. La Corte di Appello, sul punto, aveva argomentato come invece la protesta in discorso costituisse piuttosto una "ostinata presa di posizione" contro la realizzazione di un'opera pubblica decisa a vantaggio della collettività;

- quanto, infine, all'applicabilità della causa di esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p., pur invocata dalla difesa sotto il profilo della durata limitata della protesta e dei conseguenti minimi disagi causati agli operai, la Corte ha rigettato il gravame trattandosi di elementi di fatto non sindacabili in Cassazione.




La sentenza per esteso è consultabile in allegato.
La singolare vicenda riguarda un legale che consegna ai propri assistiti copia di sentenze e verbali di pignoramento da lui formati recanti l'intestazione, l'emblema della Repubblica, la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, il nome del Giudice (effettivamente in servizio) e la sua sottoscrizione vergata a penna.

La Corte di Cassazione ha confermato la misura cautelare del divieto temporaneo di esecitare la professione forense emessa dal GIP e confermata dal Tribunale, sul presupposto che gli atti giudiziari in esame fossero dotati di requisiti formali tali da indurre terzi in buona fede, privi di nozioni giuridiche, a credere che fossero conformi agli originali.
Argomentava al contrario la difesa, che la mancanza di alcuni elementi -quali il timbro di deposito in cancelleria, la firma del cancelliere ed il numero di ruolo- rendesse i medesimi inidonei a ledere la fede pubblica.

La Corte ha osservato che le Sezioni Unite con una recente sentenza (n. 35814 del 28/03/2019), hanno affermato che la formazione di copia di un atto inesistente non integra il reato di falso materiale, salvo che tale copia assuma l'apparenza di un atto originale.

Nel caso di specie, gli elementi mancanti sono quelli riconducibili al tecnicismo proprio dei provvedimenti giudiziari, come tali riconoscibili solo dagli addetti al settore; ciò che rileva, ai fini della configurabilità del reato punito ai sensi degli artt. 476, 482 c.p., è l'impatto che quegli atti possano avere nei confronti della generalità dei soggetti privi di specifiche competenze, ossia della loro idoneità da assumere l'apparenza di originali.


La sentenza per esteso è consultabile in allegato.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 28 aprile 2022 n. 16272, ha ribadito il principio che la persona offesa del reato di atti persecutori (c.d. stalking) previsto dall'art. 612-bis c.p. dev'essere ammessa al gratuito patrocinio a prescindere dalle condizioni reddittuali e dagli altri requisiti previsti dall'art. 76 d.p.r. 115/2002, ad eccezione dell'indicazione del procedimento cui si riferisce la richiesta e delle generalità e codici fiscali dei componenti il proprio nucleo familiare.

I Giudici di primo e secondo grado, infatti, avevano rigettato l'istanza poichè priva di documentazione attestante le condizioni reddituali (e della dichiarazione che il difensore fosse iscritto nell'elenco degli avvocati che assistono soggetti ammessi al gratuito patrocinio).
Rammenta la Corte che l'art. 76 comma 4-ter del d.p.r. sopra menzionato, introduce una deroga che non consente alcuna discrezionalità al Giudice, nonostante la sua formulazione letterale.
L'argomento era stato oggetto di un intervento della Corte Costituzionale (sent.1/2021) che ha stabilito che tale deroga non viola in principio di uguaglianza, poichè la sua ratio si inserisce nell'ambito della tutela delle vittime vulnerabili che il legisltatore ha intrapreso a partire dal d.l. 14/08/2013 n. 93 (contrasto della violenza di genere); come tale, non trattandosi di scelta manifestamente irragionevole o arbitraria, non può considerarsi in contrasto con il dettato costituzionale.

Il percorso legislativo in questione, com'è noto, affonda le sue radici nella Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Istanbul l'11/06/2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (ratificata con la L. 27/06/2013), ed è continuato nel tempo con ulteriori provvedimenti (basti ricordare la legge del 2019 nota come "Codice Rosso").

Il concetto di "partecipazione" richiamato nel delitto di cui all'art. 609-octies c.p. che punisce la violenza sessuale di gruppo, non può intendersi limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte di ciascun singolo imputato, di un'attività tipica di violenza sessuale dovendosi invece estendersi la punibilità a qualsiasi condotta partecipativa  tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spetttaore, sia pure compiacente, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione con sentenza n. 15659 del 22 aprile 2022 ha disatteso la tesi difensiva volta a far dichiarare l'estraneità ai fatti di un imputato che era subito uscito dalla stanza ove veniva consumata la violenza, rientrandovi solo quando era stato chiamato da un coimputato all'unico fine di scattare delle foto, che peraltro non ritraevano atti sessuali.
La Corte ha rilevato infatti che l'imputato, comunque rimasto nell'alloggio, realizzava videoriprese della donna che scivolava dal materasso dopo aver subito plurimi rapporti sessuali, fotografandone anche i genitali, in tal modo rafforzando il proposito criminoso del gruppo, tanto che subito dopo quella foto la donna subiva un ulteriore rapporto sessuale.


Un'interessante sentenza di merito ha ritenuto indennizzabile la morte causata da contrazione dell' infezione da Sars-CoV -2.

Il Tribunale di Torino, muovendo dal presupposto che le "Condizioni Generali di Assicurazione Infortuni" definivano "infortunio l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea" ha concluso, sulla scorta di una consulenza tecnica d'ufficio, che la morte "da insufficienza respiratoria da infezione SARS-COV-2" rientri a pieno titolo negli eventi indennizzabili.

La sua insorgenza è infatti involontaria (fortuita); violenta, poichè il contatto non è dilatato nel tempo e "determina uno stravolgimento violento delle regole naturali della vita di un organismo che si trovi in situazione normale". E' infine dovuta ad una causa esterna proprio perchè "il virus è un organismo estraneo al corpo umano e che nello stesso viene ad inserirsi proprio quale elemento proveniente dall'esterno".

Infine, la polizza non conteneva clausole di esclusione delle infezioni virali, nè risulta che l'assicurato versasse in preesistenti condizioni in grado di facilitarne l'insorgenza.

In assenza di specifica esclusione contrattuale, dunque, l'infezione da SARS-CoV-2 soddisfa la definizione di infortunio contemplata nelle "Condizioni Generali" del contratto di assicurazione in questione.


La sentenza per esteso è consultabile in allegato

Con la sentenza del 28/03/2022 la Corte di Cassazione è tornata sull'argomento della responsabilità dei consiglieri di una S.p.A. in un caso di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs 74/2000), distinguendo i due casi:

1. se non siano state attribuite deleghe, tutto il C.d.A. risponde di ogni atto/omissione;

2. se siano state attribuite deleghe ad uno o più amministratori, gli illeciti compiuti investono solo la responsbilità dei consiglieri delegati, salva in ogni caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi (ossia privi di delega) per l'eventuale violazione dolosa o colposa, in presenza di segnali d'allarme, del dovere di informazione in ordine all'andamento della gestione sociale ed alle operazioni più significative e del dovere di attivarsi, per quanto in loro potere, per impedire il compimento dell'atto pregiudizievole o ridurne le conseguenze dannose.
 
La sentenza ribadisce altresì la legittimità del sequestro preventivo diretto e per equivalente funzionale alla confisca dell'unico immobile di proprietà dell'imputato costituente la sua residenza. Il limite dell'impignorabilità di quest'ultimo, introdotto dall'art. 52 lett. g) del d.l. 69/2013, opera infatti solo verso l'Erario per debiti tributari; l'oggetto della confisca invece è il profitto del reato, non il debito verso il fisco (comprendente anche sanzioni ed interessi).

In allegato la sentenza per esteso


Approfondisci


La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 8545 del 19 dicembre 2019 (depositata il 3 marzo 2020) è stata chiamata a pronunciarsi sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa prevista dall’art. 7 del D.L. n. 152/91 ed oggi trasfusa nell’art. 416-bis 1 cod. pen.

Tenuto conto degli opposti orientamenti giurisprudenziali sul tema, alle Sezioni Unite è stato posto il quesito di diritto se l’aggravante dell’agevolazione mafiosa abbia natura oggettiva concernendo le modalità dell’azione ovvero abbia natura soggettiva riguardando la direzione della volontà.

La Suprema Corte di Cassazione, dopo aver analizzato i vari orientamenti e le ragioni ad essi sottese, ha affermato che l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis 1 cod. pen. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale.

È il dato testuale, secondo le Sezioni Unite, che impone la qualificazione dell’aggravante nell’ambito di quelle di natura soggettiva inerenti i motivi a delinquere.

Orbene, leggendo la motivazione della sentenza si evince che l'agente deve decidere di porre in essere “[…] l'attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa: è necessario però, affinché il reato non sia privo di offensività, che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all'esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all'art. 416- bis cod. pen. ed alla effettiva possibilità che l'azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche non essenziali al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell'associazione”.

É dunque necessario che la volizione che caratterizza l’attività illecita ed agevolatrice possa assumere un minimo di concretezza anche solo attraverso una valutazione autonoma dell’agente.

La presenza di una pluralità di motivi, hanno poi sottolineato i Giudici di Piazza Cavour, è possibile ma ciò che è essenziale, ai fini della configurazione della norma, è la volizione da parte dell'agente, tra i motivi della sua condotta, della finalità considerata dalla norma (nel caso di specie l’agevolazione dell’attività mafiosa) (cfr., Cass. Pen., Sez. Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015).

Gli Ermellini si sono infine soffermati anche sull’ipotesi di un reato concorsuale: in tal caso, l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen. si applica “al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell'altrui finalità”.

In tal senso le Sezioni Unite evidenziano come “[…] qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l'intento dell'agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l'estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività”.

Ad una simile conclusione la Suprema Corte di Cassazione perviene sulla base del disposto di cui all’art. 59, secondo comma, cod. pen. (che attribuisce all'autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute) e sulla base della giurisprudenza di legittimità che ha operato una simile estensione anche in tema di premeditazione e dell’aggravante dei motivi abietti o futili (si veda rispettivamente, ex multis, Cass. Pen., Sez. VI, 21/09/17, n. 56956 e Cass. Pen., Sez. I, 10/07/2018, n. 50405).

Con sentenza n. 5788 del 18 aprile 2019 (depositata il 13 febbraio 2020) la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, è intervenuta con riferimento alla disciplina del giudizio abbreviato “condizionato”.

Nello specifico i Giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a decidere se, nel corso di un giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, fosse possibile per il Pubblico Ministero procedere alla modificazione del capo di imputazione ovvero a contestazioni suppletive rispetto a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti della ulteriore e nuova attività probatoria.

Orbene, le Sezioni Unite, dopo aver valutato criticamente un pregresso orientamento giurisprudenziale che aveva fornito una risposta positiva al sopraindicato quesito (cfr. Cass. Pen., sez. IV, 26/9/2017, n. 48280), affermano il principio di diritto secondo il quale nel corso di un giudizio abbreviato condizionato “[…] è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 cod. proc.pen.”.

Un cambiamento nelle contestazioni mosse all’imputato è dunque possibile solo sulla base di nuovi elementi emersi nel corso dell’integrazione probatoria.

Alla base di tale decisione, come emerge dalla lettura della motivazione della sentenza, vi è la consapevolezza che l’imputazione costituisce una garanzia imprescindibile per l’imputato il quale ha diritto di comprendere, in maniera specifica e puntuale, tutte le contestazioni mosse dalla pubblica accusa ciò al fine di operare le proprie scelte anche in relazione al rito processuale da seguire.

Senza contare infine che una diversa conclusione comporterebbe una ingiusta disparità di trattamento rispetto al giudizio di abbreviato cd “secco”: nel caso di giudizio abbreviato non soggetto ad integrazione probatoria, infatti, il Pubblico Ministero non potrebbe modificare il capo di imputazione e non potrebbe senz’altro procedere a contestazioni suppletive in presenza di elementi già esaminati e raccolti nel corso delle indagini preliminari.

Il Consiglio Nazionale Forense, alla luce dell’emergenza sanitaria mondiale COVID 19, con delibera n. 168 del 20 marzo 2020 è intervenuto sul tema della formazione continua e dei tirocini.
Con tale provvedimento il CNF ha stabilito che l’anno solare 1 Gennaio 2020 - 31 dicembre 2020 non verrà conteggiato ai fini del triennio formativo previsto e sancito dall’art. 12, comma 3, del Regolamento n. 6 del 16 luglio 2014 successive modifiche.
Per tale anno è previsto per l’Avvocato il conseguimento di soli 5 crediti formativi: 3 nelle materie ordinarie e 2 nelle materie obbligatorie di ordinamento e previdenza forensi, deontologia ed etica professionale.
L’acquisizione dei suddetti crediti potrà avvenire integralmente anche in modalità “e-learning” e quindi mediante formazione “a distanza”.
I crediti formativi da acquisire nel 2020 saranno peraltro compensabili, per quantità e per materie, con i crediti maturati nel periodo formativo 2017/2019, se concluso, oppure con i crediti da acquisire nel periodo formativo successivo.
Per quanto attiene al tirocinio dei praticanti, tenuto conto della sospensione giudiziaria, è stato previsto una deroga all’obbligo di partecipare a venti udienze nel corso di un semestre.
Nello specifico il CNF ha deliberato di presentare al Ministro della Giustizia la richiesta di adozione di un provvedimento (in deroga al disposto dei cui all’articolo 8 comma 4 del DM 17 marzo 2016 n. 70) che consenta il rilascio del certificato di compiuto tirocinio anche in caso di mancata partecipazione al numero di udienze obbligatorie nell’ambito del semestre gennaio/giugno 2020.

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi nella seduta del 3 ottobre u.s. tenuto conti dei pareri espressi dal garante per la protezione dei dati personali e delle competenti Commissioni parlamentari), ha approvato con esame definitivo il decreto legislativo recante attuazione della c.d. V direttiva antiriciclaggio (direttiva 2018/843/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018).

Come è possibile constatare dal comunicato stampa del Governo, il decreto legislativo in questione (è diretto a:

- specificare il novero dei soggetti tenuti all’osservanza degli obblighi antiriciclaggio ricomprendendovi le succursali “insediate” degli intermediari assicurativi (ossia le succursali insediate in Italia di agenti e broker aventi sede legale ed amministrazione centrale in un altro Stato membro o in uno Stato terzo);

- individuare misure di adeguata verifica rafforzata che gli intermediari bancari o finanziari devono attuare in relazione alla clientela che opera con Paesi ad alto rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (tra questi, per esempio, specifici obblighi di segnalazione periodica per le transazioni effettuate con soggetti operanti in questi Paesi);

- introdurre strumenti che le Autorità di Vigilanza possono utilizzare per mitigare il rischio connesso ai Paesi terzi (tra questi, ad esempio, il diniego all’autorizzazione all’attività per intermediari bancari o finanziari esteri o all’apertura di succursali in Paesi ad alto rischio per gli intermediari italiani);

- consentire alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo di disporre del Nucleo speciale di polizia valutaria;

- stabilire il divieto di emissione e utilizzo di prodotti di moneta elettronica anonimi (coerentemente con il già vigente divieto di conti e libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia);

- apportare modifiche riguardo alle sanzioni e alle relative procedure di irrogazione per la violazione delle norme dei due decreti modificati (ovvero i decreti legislativi 25 maggio 2017 n. 90 e 92).

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